Il binomio cavallo-cavaliere nel San Giorgio e il drago di Rubens

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Molti degli artisti del periodo barocco, alla ricerca di immagini che esprimessero un senso di dinamicità, movimento ed energia, predilessero come soggetti delle loro tele i cavalli, che emergono nell’arte seicentesca quasi come fossero un’ossassione per gli artisti del tempo.
Fra questi, uno dei primi a fare dei cavalli un oggetto prediletto delle proprie tele fu il pittore fiammingo Pieter Paul Rubens.
Nacque nel 1577 a Siegen, in Germania, e si dedicò dopo la morte del padre, che avvenne nel 1589, allo studio dell’arte della pittura. Per farlo si trasferì prima ad Anversa, dove entrò in contatto con molti artisti influenti del tempo grazie ai quali decise di spostarsi poi temporaneamente in Italia, ove rimase fino al 1608.
E’ proprio in questo periodo che realizzò una delle sue opere più famose, ora esposa al Museo del Prado di Madrid: il San Giorno e il drago.
La leggenda più famosa narra che un tempo San Giorgio stesse attraversando Selem, in Libia, dove un feroce drago abitava un lago vicino alla città. La creatura non si saziava più delle percore che gli venivano offerte in sacrificio dagli abitanti, così per placare la sua ira e la sua fame, gli uomini iniziarono a sacrificare i proprio figli, scelti a sorte. Il giorno raffigurato nell’opera è quello in cui venne sorteggiata la giovane figlia del Re locale, Silene. San Giorgio si prodigò per salvare la fanciulla ed uccidere il drago, ma prima fede convertire al cristianesimo l’intera cittadina di Selem.
Il dipinto racconta una storia, la vicenda biblica del Santo vissuto nel III secondo d.C. . L’autore scelse di riprodurre il momento più di pathos della leggenda, quello in cui San Giorno, a cavallo, salva la Principessa dalle fauci del Drago.
La donna, una bellezza tipicamente Rubensiana, caratterizzata da una folta chioma bionda, è quasi sospesa sul fondo della tela. In primo piano vi è la scena straordinariamente espressiva di un cavaliere dai tratti sovraumani e di un cavallo dai tratti “sovraequini“: l’immagine esagera la realtà oltre i limiti della credibilità. Ripercorrendo le linee della postura di cavallo e cavaliere si può affermare che Rubens abbia creato uno stato di equilibrio difficilmente riproducibile nella vita reale, in cui il cavaliere sarebbe molto probabilmente destinato a cadere.
L’animale si ritrova alzato in piedi ed il Santo ad arretrare il busto, nonostante la mancanza delle staffe egli riesce a trovare un miracoloso equilibrio che gli permette di trafiggere il drago con la sua spada e di finire il lavoro con una lancia, mentre il cavallo, a briglie sciolte, volge la testa di lato, facendo qualcosa che non ci si aspetterebbe mai da un cavallo.
Nell’opera Rubens andò esplicitamente a negare ogni lodica dell’equitazione.
San Giorgio, rappresentato muscoloso e definito nei dettagli, è a cavallo di un destriero meraviglioso che il pittore fiammingo riesce ad esaltare rispetto allo sfondo scuro grazie all’impiego di chiare pennellate dense e materiche che caratterizzano i dettagli della chioma della giovane donna, ma soprattutto del muso e della criniera, così lunga che in una battagliaì sarebbe sicuramente risultata di impaccio per il cavaliere.
Ancora una volta questo animale viene utilizzato da un artista come simbolo di dinamicità, bellezza e vittoria tanto da rappresentare, secondo i critici, la vittoria del bene sul male. Nella sua assoluta unione spirituale con il cavaliere, il duo è simbolo di un aspetto imprescindibile del bene: il binomio cavallo-cavaliere, due esseri che si fondono insieme e divengono un’unica cosa pronta a battersi in difesa della virtù.

Fonte: Il cavallo nell’arte di Simon Barnes e Rachel Barnes

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