Arcieri equestri giapponesi a cavallo

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Samurai 1

Zushi, patria degli ultimi samurai a cavallo.
No, non temete, nessun riferimento alla famosa pellicola hollywoodiana. Qui le cose sono culturalmente molto più importanti e radicate.
Una competizione, una sfida, una prova al limite dell’umano. Zushi, Giappone, a circa cinquanta chilometri dalla capitale Tokyo.
E non stiamo parlando della disciplina olimpica, ovviamente. Ci troviamo al cospetto di una delle arti praticate dal bushi, o samurai come più vi garba.
Non c’è modo di ricercare equilibrio certo, la schiena del cavallo non aspetta i traballanti calcoli e la velocità di sessantacinque chilometri orari getta il partecipante nei meandri della storia di quest’arma da combattimento.
Assaporare il gusto del colpire velocemente o morire. Quest’ultima un’opzione che Yamamoto Tsunetomo, militare e filosofo giapponese, aveva già teorizzato.“Ho scoperto che la Via del Samurai consiste nella morte”, scrisse una volta.Ma qui i suoi discendenti non ne vogliono sapere di lasciare la terra e proprio per onorare la vivente tradizione si sfidano sulla sabbia del mare per vedere chi eccelle nell’arte del tiro con l’arco.
Vento salino che si mischia al rumore della folla che applaude a ogni centro. Dietro, un brulicare di ragazzini con tuniche sgargianti intenti a raccogliere diligentemente le frecce e i pezzi di bersaglio che sotto i colpi dei dardi si spargono ovunque.
“Non troverete nulla di simile fuori dal Giappone”, afferma Ietaka Kaneko, capo dell’Associazione Arcieri Equestri Giapponesi e dell’annessa scuola che vanta una storia alle spalle di ben ottocento anni.
L’azione è assai fulminea e ben si sposa con le ancestrali azioni di guerra: gli obiettivi, che ricordano il busto di un nemico, sono a circa due metri dal suolo, il corridoio che porta loro è di soli centocinquanta metri.
Azione, vento che muove i vestiti storici, il tempo solo per alzare lo sguardo, focalizzare la sagoma del fantoccio nemico e scoccare il dardo.
Differentemente che in guerra però qui è l’arte a prevalere.
Se infatti da noi, in una gara olimpica per esempio, lo scopo è quello di centrare al meglio l’obiettivo e su questo si viene giudicati, qui la giuria lascia molto spazio alla valutazione di tutta l’azione.
La postura nello scoccare la freccia, il modo di cavalcare, tutte cose importantissime.
Una tradizione che Kaneko, discendente di una famiglia di samurai, ha oramai ben impresso nella sua vita.
“Tiro con l’arco da quando ho diciassette anni”, ora ne ha ottantasette e quest’anno non gareggerà. Dall’alto del suo ruolo di cerimoniere però ha dato il via a tutto con un simbolico gesto dello scoccare una freccia verso il cielo.
Un dardo verso la tradizione. Un dardo che lega la stirpe dei samurai a chi è rimasto per celebrarli.Antico, nuovo Giappone.

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