
Il maratoneta a quattro gambe: fino a che età può correre un cavallo da endurance?

Tra selezione, allenamento e rispetto nell’endurance: la sfida dei 160 km e il segreto della longevità dei cavalli maratoneti.
È l’alba, e i primi cavalli stanno già avanzando al trotto sul tracciato di una 160 km. È il cuore dell’endurance equestre, la disciplina che più di tutte mette alla prova resistenza, lucidità e sintonia tra cavallo e cavaliere. Ma in mezzo a soggetti giovani e rampanti, non è raro scorgere cavalli maturi, persino sopra i 16 anni, affrontare la sfida con eleganza e sicurezza.
Viene spontaneo chiedersi: “fino a che età può correre un cavallo da endurance ad alti livelli? E soprattutto, come si preserva la salute di un atleta così delicato e generoso?”
Nessun limite scritto, ma tanta esperienza
La normativa internazionale parla chiaro e dice che per affrontare una gara di 160 km, il cosiddetto CEI***, un cavallo deve avere almeno 8 anni ma nessun regolamento impone un limite massimo. Sta tutto lì, nella condizione clinica, nel cuore, nei tendini… e nello sguardo.
Un cavallo può essere idoneo sul piano fisico ma mostrare di non avere più la motivazione, o viceversa È un precario equilibrio esperienza, sensibilità e dati, come velocità medie, rientri cardiaci ecc.
In realtà, i cavalli raggiungono la loro maturità atletica intorno ai 10-12 anni, proprio come i maratoneti umani che spesso danno il meglio dopo i 30. Alcuni soggetti eccezionali arrivano a gareggiare anche fino a 18-20 anni ma con un numero di competizioni sempre più selezionato e una gestione mirata al benessere.
Fare endurance non significa solo “correre lontano”. Significa gestire l’energia, ascoltare il proprio corpo (e quello del cavallo), adattarsi al terreno, alle condizioni meteo, alle salite, alla fatica. Proprio come un maratoneta, il cavallo da endurance sviluppa nel tempo una resistenza metabolica, una resilienza mentale e una capacità di recupero che solo l’esperienza può consolidare.

A differenza delle discipline esplosive, dove la gioventù può fare la differenza, qui la maturità è un vantaggio, a patto che sia accompagnata da salute e da una carriera ben gestita.
Il segreto? Una carriera costruita con rispetto e senza scorciatoie.
La longevità sportiva di un cavallo si costruisce con:
Allenamenti progressivi, su distanze crescenti e terreni vari;
Pause e recuperi: tra una 160 km e l’altra, possono passare anche 6-8 mesi;
Alimentazione attenta, ricca di fibre e sali, con idratazione costante;
Controlli veterinari regolari, anche quando il cavallo “sembra stare bene”.
Ma c’è qualcosa di meno misurabile che fa la differenza: il rispetto per il cavallo come individuo, non come macchina da gara. Saper dire “basta” al momento giusto, saper leggere uno sguardo spento o una risposta meno pronta in allenamento. È lì che si misura la grandezza di un binomio.

Quando fermarsi? Una scelta etica, non solo sportiva
Arriva un momento in cui, anche se le gambe reggono e il cuore batte ancora forte, è giusto dire stop. Per alcuni cavalli, il ritiro coincide con una lenta discesa verso il paddock e la vita da compagno di scuola per giovani allievi. Per altri, con la transizione verso distanze più brevi o ruoli di rappresentanza.
Non esiste una regola universale, ma una certezza sì: chi rispetta il proprio cavallo, lo ascolta e lo protegge anche dai propri desideri di vittoria.
Una maratona di vita, non solo di gara.
L’endurance non è una sfida contro il tempo, ma con il tempo. Un percorso fatto di fiducia, allenamento, pazienza. Il cavallo che affronta 160 km non è un mezzo, ma un compagno di viaggio e come ogni grande atleta, ha bisogno di cure, ascolto e gratitudine.
Perché la vera vittoria, nell’endurance come nella vita, è arrivare si lontano… ma insieme.
Sport Endurance
Luca Giannangeli
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