I Mongoli di Gengis Khan e i loro cavalli: la forza dietro l’Impero.

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Gengis Khan

Quando si pensa alle fulminee conquiste di Gengis Khan, è facile immaginare eserciti instancabili che attraversano steppe, deserti e montagne.

Ma il vero motore di quella espansione non era fatto di acciaio: aveva quattro gambe e una criniera al vento.
Il cavallo mongolo — piccolo, robusto e incredibilmente resistente — fu l’arma segreta che permise agli uomini di Gengis Khan di costruire il più vasto impero terrestre della storia.

Cavalli nati per la steppa

A differenza delle razze snelle da corsa europee o arabe, i cavalli mongoli erano bassi, tozzi e rustici. Non richiedevano stalle o foraggi particolari: si nutrivano dell’erba della steppa, sopportavano temperature che andavano dai gelidi -40°C agli oltre +30°C, e potevano percorrere fino a 100 km in un solo giorno. Ogni guerriero ne possedeva più di uno e li cambiava di frequente per evitare l’affaticamento, garantendo così spostamenti rapidi e inarrestabili.

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I Mongoli di Gengis Khan e i loro cavalli: la forza dietro l’Impero. 3

Il kumis: energia liquida per la conquista

“inizia a fermentare… è pungente sulla lingua come il vino… lascia sul palato un gusto di latte di mandorle… rende gioiosi e intossica”

Oltre a trasporto e velocità, i cavalli mongoli offrivano un’altra risorsa vitale: il latte di giumenta. I Mongoli lo fermentavano per produrre kumis, una bevanda leggermente alcolica, ricca di nutrienti e facile da conservare durante le lunghe campagne militari. Il kumis era fonte di energia, idratazione e persino prestigio sociale: ospitare un viaggiatore offrendo kumis era segno di ospitalità e ricchezza. Lo storico William di Rubruck (XIII secolo) descrive il kumis come:

In particolare, esisteva una variante molto pregiata, chiamata “black kumiss”, riservata ai nobili e agli alti dignitari
.
Secondo alcune fonti, Batu Khan, signore dell’Orda d’Oro, veniva rifornito quotidianamente da 30 uomini a cavallo, ciascuno incaricato di portare il prodotto del latte di 100 cavalle, per un totale di 3.000 giumente al giorno

Una simbiosi perfetta

Nell’esercito mongolo, uomo e cavallo formavano un’unità inseparabile. I guerrieri imparavano a cavalcare da bambini, dormivano in sella durante le lunghe marce e utilizzavano i cavalli anche per orientarsi e cacciare. Alcuni racconti storici narrano che, in casi estremi, i cavalieri praticassero piccole incisioni nel collo del cavallo per berne il sangue, ottenendo così nutrimento senza uccidere l’animale.

Senza i loro cavalli, i Mongoli non avrebbero potuto muovere eserciti così velocemente, né mantenere un impero vasto che si estendeva dall’Europa orientale al Mar del Giappone. Ancora oggi, in Mongolia, il cavallo è simbolo di libertà, orgoglio e identità nazionale — un ricordo vivo di un popolo che conquistò il mondo al galoppo.

Tattiche militari: mobilità, astuzia e territorio

I cavalieri mongoli erano addestrati fin da bambini a cavalcare e a combattere da cavallo, padroneggiando la tecnica dell’arco composito anche al galoppo Tattiche come la finta ritirata (feigned retreat) erano progettate per attirare il nemico in trappola, seguita da un contrattacco coordinato e letale
.
L’organizzazione militare, basata sul sistema decimale (arban, zuun, mingghan, tumen), consentiva movimenti rapidi e unità autonome, supportate da efficienti corrieri a cavallo.

HSJ

historyofvalor.com
pastbattles.com
Michael Fassbender
ResearchGate

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