Il castello aspetta il cavallo

C’era stato l’impegno del sindaco e di tre assessori, una conferenza stampa, ma nulla di fatto. In foto Il Cavallo di Leonardo (Emmevì)
Caro Schiavi, questa mattina nell’entrare al Castello Sforzesco dalla piazza con la fontana, alcuni turisti italiani (romani) facevano questo commento: in questo grande spiazzo ci vorrebbe una piramide come al Louvre! M’intrometto e ribatto: ma non sarebbe meglio vedere la sagoma del grande cavallone di Leonardo da Vinci? Mi rispondono: «Che piacere trovare un milanese… che la dice giusta! Siamo in quattro ma siamo tutti della sua idea. Magnifica! Perché allora non realizzarla?».
Giovanni Pelli Chissà se Milano si è accorta del cavallo di Leonardo, se qualche scuola ci porta i bambini, se la domenica c’è qualche visita e qualcuno ricorda ai turisti la storia di un progetto incompiuto e di un sogno realizzato. Avevano detto: lo valorizzeremo, lo renderemo visibile, ne faremo un grande richiamo, ma non si vede mai nessuno nel recinto vicino all’ippodromo, nel verde immenso di San Siro, in quella landa privilegiata o desolata che incrocia lo stadio e i caseggiati popolari, che confina con le ville dei miliardari e la suburra del quartiere Aler. È una cattedrale nel deserto la più grande statua equestre del mondo, quindici tonnellate di peso, più di sette metri d’altezza, un’incompiuta del tardo Quattrocento nella Milano di Ludovico Sforza, un problema irrisolto oggi, nella città dell’Expo, che disegna percorsi leonardeschi ma non sa cosa fare di una statua immensa, di un falso ingombrante piovuto in dono dall’America, di un colosso dal valore simbolico che vuol dire genio, arte, lavoro, grandezza e anche amicizia.