
Il cuore dell’endurance è proprio lui, il cuore!

Nell’endurance equestre, il vero maratoneta non ha scarpe da corsa, ma zoccoli, ma ci vuole cuore.
È il cavallo a macinare chilometri, affrontando percorsi che superano spesso i 100 km. In questa disciplina, la resistenza non è solo questione di muscoli, il vero protagonista silenzioso è il cuore.
Un cuore allenato è come un motore ben tarato, pompa più sangue a ogni battito, lavora a frequenze più basse e recupera rapidamente dopo uno sforzo.
Per il cavallo da endurance questo significa affrontare lunghe distanze mantenendo costante l’apporto di ossigeno ai muscoli e smaltendo velocemente l’acido lattico, evitando affaticamenti precoci.
Durante la gara i veterinari controllano più volte la frequenza cardiaca dell’animale; un battito che rientra velocemente nei limiti è segno di buona forma fisica e di corretta gestione dello sforzo. Non a caso, un cavallo può essere escluso se il cuore non “scende” abbastanza in tempi brevi.
C’è poi un aspetto affascinante legato alla termoregolazione. Quando il cavallo si bagna con acqua fresca versata dal cavaliere o attraversando un guado, la temperatura corporea si abbassa.
La pelle rilascia calore e, di conseguenza, il sistema nervoso riduce la frequenza cardiaca. Il cuore rallenta perché diminuisce lo stress termico e si riduce la necessità di pompare sangue verso la periferia per dissipare calore.
In gara, questo effetto viene sfruttato in modo strategico: spugnare il cavallo ai punti di assistenza non è solo un gesto di sollievo, ma un intervento mirato a favorire il recupero e a mantenere la macchina perfettamente in corsa.
In fondo, nell’endurance equestre, vincere significa saper rispettare e ascoltare il cuore del proprio compagno a quattro zampe. Perché un cuore allenato non batte solo per correre, batte per arrivare fino in fondo.
luca giannangeli
foto Stefano Sechi
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