L’ippica in crisi. Ma a chi tocca recitare il mea culpa?

“…siamo in attesa degli sviluppi“ E’ la frase che in questi giorni si ascolta ripetere spesso quando si accenna alle sorti dell’ippica italiana. Cè’un antico detto partenopeo che recita “chiacchere e tabacchere e ligne o banco nun ‘e ‘mpigna“ Che tradotto in parole povere vuol dire inutili sono le parole se mai accompagnate dai fatti. Già,“i fatti“ per l’ippica li avrebbero dovuti fare quelli che negli ultimi decenni si sono seduti sulla poltrona più autorevole dell’U.N.I.R.E. (oggi gli hanno cambiato nome in ASSI per cercare di dargli una veste immacolata) quel palazzone dentro al quale sono stati spediti a scaldare le varie poltrone personaggi che dell’ippica non sapevano nulla e dell’ippica non importava nulla. Ma perchè fare il processo al passato quando siamo oggi alla ricerca della sopravvivenza? Le ragioni sono da ricercare nella non nascosta volontà da parte di detrminati soggetti di far dimenticare gli artefici di questo sfascio con un pesante colpo di spugna. Invece di andare a scavare tra autorizzazioni di spese folli, costosi viaggi di rappresentanza, allegri convivi dai costi esorbitanti e tante altre costose iniziative che con l’ippica nulla avevano a che fare, si è chiesto agli ippici, quelli veri, di “accontentarsi“ oggi di quel poco elargibile. Una cifra data quasi a titolo di elemosina per zittire un popolo di lavoratori che, a nostro giudizio, ha avuto in questi decenni la sola colpa di continuare ad arrivare in scuderia all’alba e andar via al tramonto senza mai alzare la testa per fermare chi follemente si prodigava a svuotare la cassaforte di famiglia. (Bruno Delgado)