Spazio alla memoria

Riportiamo per intero un articolo apparso sul Messaggero di Piero Mei che riporta il cuore di tanti appassionati equestri indietro negli anni – “Oggi un marziano è sceso con la sua aeronave a Villa Borghese, nel prato del galoppatoio”. Cominciava così, datato 12 ottobre 1954, “Un marziano a Roma” di Ennio Flaiano. Il Galoppatoio era un luogo di letteratura: Luigi Pirandello l’aveva raccontato in una delle sue “Novelle per un anno”, intitolata “La fedeltà del cane”; era “la pista”, abitata “da due ufficiali d’artiglieria insieme con due signorine che parevano inglesi, sorelle, bionde e svelte nelle amazzoni grige, con due lunghi nastri scarlatti annodati attorno al colletto maschile. Sotto gli occhi di don Giulio essi presero tutt’e quattro a un tempo la corsa, come per una sfida”.
Anche Manlio Cancogni lo raccontò ne “La carriera di Pimlico”: “Qui la moda, nonostante i brutti tempi, i disordini, il carovita, non è cambiata. Il galoppatoio, specie al mattino, è sempre il ritrovo dell’eleganza;e naturalmente anche degli sfaccendati che si godono lo spettacolo dei cavalieri e delle amazzoni al passo sulla sabbia della pista, o al trotto, mentre i più bravi saltano gli ostacoli nel riquadro centrale del campo. Anch’io mi trovo fra quelli che stanno dietro le staccionate, o sparsi qua e là sul campo, dove i ragazzi che hanno fatto forca giocano a palla in brevi radure, a prendersi il sole. Si dice così, ma il sole, lo sappiamo, c’entra poco, anche se d’inverno non dispiace”.
Vittorio De Sica ci andò da cavallerizzo anni Trenta ne “Il Signor Max” che, fingendo d’essere un signore da edicolante che era, non poteva non andare a cavallo; molti anni più tardi divenne Alberto Sordi e “Il Conte Max”. A De Sica piaceva il galoppatoio: lo fece anche la grotta dei desideri dove galoppava Bersagliere, il cavallo bianco del sogno di Pasquale e Giuseppe, Scimmietta e Cappellone, i due sciuscià che racimolavano qualche spicciolo per godersi la corsa a Villa Borghese e per quel sogno finiranno in galera. Erano gli anni del dopoguerra.
Sogni da galoppatoio: quei due signori che arrivavano quasi ogni mattina, entrambi in sella, il palafreniere a piedi, erano il Principe Torlonia e la di lui consorte, Donna Beatriz, Infanta di Spagna, zia dell’oggi re Juan Carlos. Quei cavalieri e quelle amazzoni che si esercitavano erano a volte cavalieri della domenica, a volte agonisti veri. Un cavallo si chiamava Osoppo e lo montava un ufficiale, Giancarlo Gutierrez. Era il cavallo che aveva saltato 2 metri e 44 centimetri, record del mondo nel 1938. I cavalli sono andati più su, l’uomo a piedi è fermo lì, proprio a 2,44. Andò verso l’ostacolo, Gutierrez, e “fece la rana”, quel rumore con la bocca che spaventa i cavalli e li fa spiccare prima e volare di più. Siccome il Duce non era presente, ricostruirono l’ostacolo a grandezza naturale nel cortile di Palazzo Venezia: non per farlo saltare di nuovo, ma per fotografarlo come sfondo per Mussolini.
La cavalcata di Mussolini era oggetto di panegirico nei cinegiornali: “E’ un cavalcatore tanto appassionato quanto instancabile… Ha una resistenza al galoppo ben dura pei cavalli che hanno l’onore di recarlo sul loro dorso. Spesso, fra cavaliere e cavallo, è questo che perde la prova e allora il Presidente è costretto a sospendere la passeggiata. Una mattina, però, per non darla vinta, cambiò ben quattro cavalli, riuscendo a stancarli tutti e quattro!”. Citato da Massimo Cardillo ne “Il duce in moviola”.
Sai che divertimento per i bambini sul prato del Galoppatoio, quelli che andavano a giocarci ogni mattina quando il quartiere Pinciano era ancora abitato da bambini e non solo da uffici, bambini che si rompevano un braccio scivolando dalla staccionata fatta di filagne di legno incrociate, che si rotolavano nell’erba mordendo una guancia a Bagnasciuga, che giocavano a nascondino o ad altri giochi come buzzico rampichino, rubabandiera, ariecchime solo, ormai sconosciuti ai pupi viedogiocanti. Le mamme sferruzzavano e le nonne pure; le balie non erano ancora badanti; e i cavalli galoppavano fieri o brucavano l’erba, che c’era, là dove ora c’è di tutto. fonte: Piero Mei