Via le fruste dal Palio

Le prime notizie del Palio di Asti risalgono al 1275 e per una manifestazione che ha attraversato secoli anche burrascosi, un’ordinanza ministeriale può essere normale amministrazione. A patto che la si rispetti. «Noi l’abbiamo addirittura anticipata», chiarisce con orgoglio il sindaco Giorgio Galvagno, in linea con quanto aveva dichiarato il primo cittadino di Siena Franco Cenni alla vigilia del Palio dell’Assunta.
Il Palio di Asti che si correrà domenica 20 settembre in piazza Alfieri, come le altre sfide equestri d’Italia che si rifanno a tradizioni anche antichissime (se ne contano un’ottantina), deve misurarsi con le nuove disposizioni sulla sicurezza dei cavalli che il sottosegretario leghista Francesca Martini ha inserito appunto in un’ordinanza. Che sarà operativa al momento della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Asti ha presentato ieri la sua manifestazione che conclude, come ogni anno, la stagione delle corse «a pelo» d’Italia. Ventuno tra rioni cittadini e Comuni del contado gareggiano per conquistare il drappo del Palio, dipinto quest’anno dal grafico Nata Rampazzo. Non una corsa secca come a Siena; ma tre batterie di sette cavalli e una finale a nove sulla pista disegnata a forma di trapezio e «ammorbidita» nella curva più pericolosa, soprannominata del Cavallone, proprio in ossequio all’incolumità dei purosangue. Molto prima, per altro, che il sottosegretario si occupasse di tenzoni storiche a cavallo.
Del giro di vite sulla sicurezza si è parlato in queste settimane in tutte le città di Palio: i fantini toscani che da anni «colonizzano» i Palii d’Italia dai più celebri sino alle corse minori di provincia, hanno alimentato il tam-tam: è stato in particolare quel divieto all’uso del frustino in corsa (poi corretto, almeno pare, in uso non sconsiderato) a farli sorridere. Per loro è uno strumento di lavoro, indispensabile per intimidire un fantino scomodo con un paio di sonore nerbate sulla schiena. Chiedere a Jonathan Bartoletti, nome di battaglia «Scompiglio», che al Palio di Asti del 2006 spinse all’estremo le consegne affidategli dai dirigenti del rione Santa Caterina per il quale correva: doveva danneggiare il borgo nemico della Torretta, e per farlo prese per le briglie il cavallo avversario. Manovra pericolosissima per il purosangue, vietata dal regolamento del Palio astigiano, che gli costò tre anni di squalifica. Ma aveva compiuto la missione affidatagli.
A parte il test alcolemico sui fantini che si intende introdurre, sugli altri punti «forti» dell’ordinanza i Palii principali hanno già risposto: Legnano, unica città con Asti che impiega purosangue, utilizza per la pista un nuovo fondo in sabbia silicea che garantisce miglior tenuta anche in caso di maltempo; Ferrara ha lavorato molto sul tracciato, prendendo spunto anche dagli interventi compiuti su quello di Asti.
L’antidoping sui cavalli è ormai un fatto acquisito. «Ad Asti – spiega Fulvio Brusa, presidente della commissione veterinaria del Palio – le verifiche psico-fisiche dei cavalli prima del Palio sono affidate a quattro docenti universitari, in pista funziona un’ambulanza per i cavalli collegata ad una clinica specializzata. I prelievi di sangue per l’antidoping vengono compiuti su tutti i cavalli prima della gara, poi sui nove finalisti e, a campione, su tre degli esclusi». E assicura: «Ci sono sempre tentativi per scoprire nuove sostanze, ma la tecnologia di analisi è talmente avanzata da offrire le massime garanzie di risultato. – di Massimo Cavaglino – La Stampa