
Declino e rinascita del cavallo italiano: dall’Unità d’Italia a oggi

Un patrimonio millenario tra guerra, oblio e riscoperta
Dopo secoli in cui il cavallo ha rappresentato potere, mobilità, guerra e prestigio, l’Italia unita si trovò di fronte a una nuova epoca: quella delle macchine, della ferrovia e del progresso industriale. Un’epoca in cui il cavallo, da alleato insostituibile, divenne progressivamente un retaggio del passato.
L’Unità d’Italia e le grandi cavallerie nazionali
Nel 1861, con l’unificazione, l’Italia ereditò una miriade di allevamenti, razze locali, tradizioni e tecniche equestri differenti. L’esercito italiano, tuttavia, cercò di razionalizzare il tutto, fondando i Depositi Stalloni Militari, come quelli di Grosseto, Ozieri, Ferrara, e incrementando la selezione per scopi bellici.
Il cavallo tornò centrale durante le guerre d’indipendenza e, più tardi, nella Prima Guerra Mondiale: utilizzato per trainare artiglieria, trasportare truppe e rifornimenti nelle trincee alpine. Ma la fine del conflitto segnò anche la fine di un’era.
La tecnologia stava cambiando tutto. Carri armati, automobili, aerei e ferrovie rendevano il cavallo obsoleto. La Seconda Guerra Mondiale, ancor più distruttiva, diede un colpo quasi fatale all’allevamento equino italiano.
L’oblio: 1945-1980
Nel secondo dopoguerra, il cavallo sparì quasi completamente dalla vita quotidiana degli italiani. La meccanizzazione dell’agricoltura cancellò l’uso dei cavalli da tiro. Le città, sempre più urbanizzate, relegarono il cavallo ai margini. Molti allevamenti storici chiusero i battenti, e intere razze rischiarono l’estinzione.
Si perse anche la memoria storica. Le razze equine italiane – molte delle quali plasmate nei secoli con sapienza e passione – vennero dimenticate o mal gestite. Il cavallo napoletano, ad esempio, scomparve quasi del tutto. Il suo sangue sopravvisse solo in alcune linee spagnole e nel Lipizzano, un paradosso doloroso per un animale nato nel cuore del Meridione.
La riscoperta e la conservazione
A partire dagli anni ’80, però, qualcosa iniziò a cambiare. Alcuni studiosi, allevatori e appassionati iniziarono a rivalutare il valore culturale, storico e genetico del cavallo italiano.
Grazie anche all’intervento del Ministero dell’Agricoltura e dell’Associazione Italiana Allevatori (AIA), sono stati avviati programmi di conservazione e recupero. Sono state censite e tutelate 15 razze autoctone italiane, suddivise in:
- Razze da sella o da tiro leggero: Murgese, Cavallo del Catria, Cavallo del Ventasso, Sella Italiano.
- Razze da tiro pesante: TPR (Tiro Pesante Rapido), Cavallo Agricolo Italiano da Tiro Pesante.
- Razze regionali o rustiche: Monterufolino, Cavallo Sanfratellano, Cavallo Bardigiano, Cavallo Pentro, Cavallo Norico, e altre.
Oggi queste razze sono protette come patrimonio genetico. Alcune sono ancora allevate in ambienti tradizionali (come i monti del Pollino, dell’Aspromonte o dell’Appennino tosco-emiliano), mentre altre hanno trovato nuova vita in ambiti sportivi, turistici o sociali.
Il cavallo oggi: simbolo di identità e di un futuro sostenibile
Nel XXI secolo, il cavallo italiano non è più forza lavoro o strumento bellico. È compagno di sport, benessere e cultura. Le attività equestri sono in crescita: equitazione sportiva, trekking a cavallo, ippoterapia, turismo rurale.
Il cavallo è tornato protagonista anche nei Parchi Nazionali, dove razze autoctone vivono semi-brade, contribuendo alla gestione del paesaggio e alla biodiversità. Eventi storici e folkloristici come il Palio di Siena, la Giostra del Saracino, o la Cavalcata Sarda mantengono viva la memoria dell’antico legame tra uomo e cavallo.
Una responsabilità per il futuro
Il cavallo italiano non è solo un animale. È un testimone vivente della nostra storia, un ponte tra passato e futuro, un simbolo di resilienza e adattamento. Proteggere le razze locali, sostenerne l’allevamento etico e valorizzarne l’utilizzo in chiave moderna è una scelta culturale e politica.
Perché il cavallo, ieri come oggi, continua a correre nella nostra identità.
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