I cavalli nella Russia Zarista: dalla guerra alla letteratura

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Karl Bulla cortege of the Emperor Nicholas II drives up to the Spassky Gate

Tradizione, gerarchia e cultura equestre in un impero al tramonto

I cavalli nella Russia zarista, fino alla vigilia della rivoluzione del 1917, rappresentavano molto più che un mezzo di trasporto. Era parte integrante della struttura dell’Impero, un’estensione del corpo militare, un elemento centrale dell’economia agricola, un indicatore di rango sociale, ma anche un simbolo estetico e culturale. Nella vita russa del XIX e primo XX secolo, dalla pianura del Don alle nevi della Carelia, la figura del cavallo attraversava ogni ambito: dal quotidiano alla cerimonia, dalla guerra alla letteratura.

Lo spazio, in Russia, è una dimensione assoluta: per attraversarlo, prima della ferrovia, serviva resistenza, forza e adattabilità. Il cavallo, più della macchina, era l’unico in grado di collegare il centro alla periferia, l’élite alla provincia, il potere alla terra.

La lingua del cavallo: due parole per un solo animale

In russo, esistono due termini principali per indicare il cavallo: “лошадь” (lóshad’), usato in senso generico e di registro neutro o colloquiale, e “конь” (kon’), che ha invece una valenza più epica, poetica o militare. Il secondo compare frequentemente nella letteratura tradizionale e nelle canzoni popolari, laddove il cavallo assume qualità quasi umane o spirituali.

“Kon’” è il cavallo degli eroi dei byliny, i poemi epici orali tramandati nell’antica Russia: compagno intelligente, talvolta parlante, legato al destino del cavaliere. Questo doppio registro linguistico riflette un duplice approccio alla figura del cavallo nella cultura russa: da un lato strumento funzionale, dall’altro creatura nobile, quasi sacra.

Le razze imperiali: selezione, funzione, identità

L’Orlov Trotter: rigore genetico e prestigio aristocratico

Sviluppato a partire dal 1776 dal conte Aleksej Orlov nella tenuta di Khrenovoe, l’Orlov Trotter fu il primo vero trottatore russo. Incrociando stalloni arabi con cavalle danesi, frisone e mecklenburghesi, Orlov ottenne un cavallo alto, elegante, con un trotto regolare e potente. Pensato per le carrozze leggere dell’aristocrazia, divenne presto un simbolo di prestigio nelle città imperiali e venne impiegato anche nei circuiti delle corse al trotto, che ebbero grande diffusione a partire dalla metà dell’Ottocento fino alla  Grande Rivoluzione.

Il cavallo del Don: l’essenza del cosacco

Nel sud della Russia, lungo le rive del fiume Don, nacque la razza che sarebbe diventata il pilastro della cavalleria leggera imperiale. Il Don, frutto di una selezione spontanea tra cavalli tatari, turchi e locali, si affermò per la sua rusticità. Fisicamente compatto, con arti solidi e un carattere indipendente, era in grado di percorrere lunghe distanze con scarso fabbisogno di foraggio e acqua, adattandosi a climi aridi e ventosi.

Utilizzato estensivamente dai cosacchi, che allevavano i propri cavalli in libertà parziale per lunghi periodi, il Don era il perfetto cavallo da campagna mobile, capace di affrontare battaglie e ritirate con uguale tenacia.

Razze caucasiche e siberiane: adattamento geografico

Il Kabarda, allevato nelle alture del Caucaso, era un cavallo di montagna, robusto e muscoloso, resistente al freddo, con zoccoli naturalmente duri, tanto che spesso non richiedeva ferratura. Anche il Karachai, della stessa regione, condivideva caratteristiche simili: grande equilibrio, falcata corta ma sicura, passo stabile su rocce e pendii.

Nel sud della Siberia, razze locali come il cavallo dell’Altaj si distinguevano per l’adattamento a condizioni estreme. Più piccoli e tozzi, erano utilizzati per il trasporto e la sopravvivenza nelle steppe gelate, con un metabolismo adatto a lunghi periodi di scarse risorse.

Cavalli e funzioni: militari, agricole, cerimoniali

Cavalleria zarista: ordine e spettacolo

La Cavalleria della Guardia Imperiale, istituita sotto Pietro il Grande e rifondata da Caterina II, rappresentava l’élite dell’armata russa. Reggimenti come gli Ussari della Guardia o i Corazzieri erano composti da uomini di nobile lignaggio, e i cavalli, selezionati da allevamenti interni e importati, dovevano rispettare precisi criteri estetici e funzionali. Le manovre, le parate, le missioni cerimoniali imponevano cavalli docili ma vigorosi, con movimenti regolari e profili eleganti.

Il reggimento delle Amazzoni, unità femminile di scorta cerimoniale istituita brevemente sotto l’imperatrice Elisabetta, mostrava quanto l’equitazione fosse considerata anche parte dell’educazione aristocratica femminile.

Cosacchi e strategia equestre

I cosacchi, divisi in atamani e villaggi armati detti stanitsa, erano al tempo stesso forza di polizia, esercito ausiliario e classe contadina. Il cavallo cosacco era considerato membro della famiglia, addestrato fin dalla nascita alla reattività e alla cooperazione.

La loro capacità di muoversi rapidamente su grandi distanze fu decisiva in molte campagne: dal Caucaso alla Manciuria. Cavalcavano in sella semirigida o senza sella, con bardature minime. La monta era istintiva, dinamica, spesso con tecniche acrobatiche, poi imitate nei circhi e nei teatri imperiali.

OCavallo e agricoltura: il motore della terra

Nel tessuto rurale, il cavallo era forza viva e bene essenziale. Le razze da tiro venivano utilizzate per l’aratura profonda delle chernozëm, le terre nere dell’Ucraina, come per il trasporto dei raccolti. Nei villaggi, il cavallo era associato alla fertilità, alla fortuna e al ciclo della natura. In molte aree della Russia centrale, i matrimoni si celebravano con processioni di cavalli bardati con nastri e tessuti colorati, spesso accompagnati da canti rituali.

Bardature, finimenti e maniscalcia

La bardatura come dichiarazione di rango

I finimenti della cavalleria imperiale erano riccamente decorati. Le briglie in cuoio nero, le testiere con l’aquila bicipite e le fibbie dorate venivano realizzate da artigiani specializzati, spesso su modelli francesi e viennesi. Le bardature cerimoniali della trojka imperiale erano ancora più fastose: copricolli intrecciati, pettorali con placche smaltate, finiture in bronzo.

I nobili delle regioni di Tula, Tambov o Vladimir ordinavano spesso finimenti su misura, con incisioni araldiche o motivi locali. Ogni cavallo aveva il proprio corredo personale, annotato nei registri di scuderia.

Maniscalchi e veterinaria

Il mestiere del kuznets, il maniscalco, aveva una posizione di rilievo. Nei centri urbani e nelle tenute nobiliari, era responsabile anche dell’igiene dello zoccolo, della preparazione del terreno delle scuderie, del trattamento di morsi, fiaccature, navicoliti. Il primo istituto veterinario equino fu aperto a Mosca nel 1840; vi si formarono i primi medici ippiatri dell’impero, alcuni dei quali vennero impiegati nell’ippodromo di Mosca e nelle campagne militari.

La ferratura seguiva criteri stagionali: in inverno si usavano ferri scanalati o chiodati per aumentare l’aderenza sui selciati ghiacciati delle città. In campagna, spesso si evitava la ferratura per preservare la naturale usura dello zoccolo.

Cavallo e cultura russa

Letteratura e iconografia

La letteratura russa dell’Ottocento è intrisa della presenza del cavallo. Nei romanzi di Tolstoj (Anna Karenina, Guerra e Pace), il cavallo è mezzo ma anche specchio psicologico dei personaggi. Nei racconti di Turgenev e nei drammi di Čechov, l’animale è presenza silenziosa ma viva, parte del paesaggio umano.

Nell’arte, autori come Viktor Vasnetsov, Ilya Repin, Vasily Surikov raffigurano cavalieri, scene rurali o episodi storici in cui il cavallo è sempre presente, come figura di potere, lavoro o eroismo.

Folklore e spiritualità

Nel folklore, il cavallo è carico di simboli. In molte regioni si credeva che il cavallo vedesse gli spiriti. I cavalli bianchi erano usati nei funerali nobiliari, quelli neri in riti di protezione. In alcune comunità contadine, esistevano rituali in cui il cavallo veniva adornato con amuleti per proteggerlo dal malocchio.

Nei canti popolari, il cavallo è spesso protagonista, come nella celebre “Конь” (Kon’), ballata novecentesca che rievoca i tempi in cui il cavaliere e il cavallo erano inseparabili anche nella morte.

Un’eredità perduta, ma mai dimenticata

Con la rivoluzione del 1917 e la dissoluzione dell’Impero, il mondo equestre zarista scomparve rapidamente. Le scuderie vennero espropriate, molte razze disperse o convertite in cavalli da tiro collettivo. La cavalleria, pur mantenuta in alcune divisioni dell’Armata Rossa, perse il ruolo centrale che aveva avuto per secoli.

Eppure, nella cultura russa – dalla toponomastica alle favole, dai proverbi agli stemmi araldici – la figura del cavallo continua a vivere, simbolo di una Russia antica, in equilibrio tra terra e storia, tra eleganza e necessità.

Fonti

  • Archivio dell’Ippodromo Centrale di Mosca (Центральный московский ипподром) – Registri delle corse, genealogie Orlov, cataloghi degli stalloni (1850–1916).
  • Ministero dell’Agricoltura dell’Impero Russo, Statistica delle risorse zootecniche, Mosca, 1905.
  • Catalogo illustrato delle razze equine dell’Impero Russo, San Pietroburgo, 1912.
  • Diari del conte Aleksej Orlov, manoscritti conservati presso la Biblioteca Storica Russa, Mosca.
  • O.A. Lesnikova, Konevodstvo v Rossii XVIII–XIX vekov (“L’allevamento equino in Russia tra XVIII e XIX secolo”), Mosca, Rosinformagrotekh, 2006.
  • E. E. Ustinova, Veterinarnaja medicina v Rossii do 1917 goda, San Pietroburgo, 2010.
  • Isabel de Madariaga, Russia in the Age of Catherine the Great, Yale University Press, 1981.

Alessia Niccolucci

© Riproduzione riservata.

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