Assicurate il vostro cavallo altrimenti…

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polizza 1

Notizia appena battuta da il Messaggero a cura di Claudio Marincola – Assicurarsi? Non basta. E’ sufficiente un cavillo, un trascurabile dettaglio, per intossicarvi il fegato e avvelenarvi la vita. Anche se siete stati previdenti. Se dopo aver pensato alla casa e all’auto aveva stipulato una polizza anche sui vostri animali. Sul cane che potrebbe mordere il postino, sul gatto che potrebbe graffiare qualcuno e magari anche sul canarino, non si sa mai. La signora Marina aveva pensato proprio a tutto. «Fa parte del mio carattere, sono precisa e ordinata, voglio vivere tranquilla», oggi racconta. Uno si assicura per questo. Contro l’imponderabile. Per mettersi al riparo dal rischio. Perché un giorno non capiti di essere costretti a ipotecarsi la casa. Invece è quello che è successo.
La storia risale a 10 fa e non è finita. La signora, che ha 60 anni e vive a Roma, pensò che sarebbe stato meglio assicurare il cavallo che aveva regalato alla figlia. «Se uno pensa a un cavallo, ecco che s’immagina una persona ricca; in realtà sono una ex impiegata di banca che da qualche tempo è in pensione. Mia figlia, che all’epoca aveva 24 anni, già da adolescente si era appassionata all’equitazione. Era brava, aveva il II grado, partecipava alla Coppa Italia e ad altri concorsi nazionali; voleva continuare a praticare questo sport a livello agonistico. A costo di sacrifici io e mio marito decidemmo di accontentarla». Baio olandese, discendenze arabe. Raffaella, questo il nome della figlia, non stava nella pelle. Lo chiamò Sun Dancing. Tenerlo nella scuderia costò alla famiglia 450 mila lire del vecchio conio.
Assicurazione a parte. «Come una buona madre di famiglia – citiamo la e-mail che la signora Marina ha inviato al Messaggero – pensai infatti che sarebbe stato meglio assicurare l’animale registrato a mio nome per la responsabilità civile. E come molte altre mamme del centro sportivo stipulai una polizza con la Sara».
Ora immaginate il maneggio, un circolo ippico sulla Portuense. Lunedì, febbraio 1998, giornata di riposo, perciò senza rischi, senza piccoli allievi che girano. Immaginate Raffaella che si allena sotto gli occhi del suo istruttore federale. Il baio che s’impenna. «Era “carico”, da qualche giorno non usciva e aveva voglia di correre – precisa Marina – e io ero lì, dietro la staccionata che osservavo la scena. Qualche giro e si sarebbe fermato da solo, ma c’era un cancello aperto e avrebbe potuto scappare. Un artiere gli corse dietro, lo prese dalle redini, cosa che non si fa». Sentendosi strattonare il baio per il dolore si imbizzarrì. Sferro un calcio all’artiere, un uomo sulla trentina, e il poveretto si fratturò il femore. «Immediatamente feci denuncia alla Sara. Fui contenta di aver avuto l’accortezza di assicurare il cavallo e sicura che l’infortunato avrebbe avuto il dovuto risarcimento».
Massimale 500 milioni di lire. Si può dormire tra due cuscini? Macché. «Mi sbagliavo di grosso! Fui citata personalmente in giudizio per il risarcimento in prima e in seconda istanza insieme alla Sara per la manleva, fino a che fui condannata per una somma complessiva di 75 mila 478,15 euro. La società di assicurazioni, per un cavillo giuridico (la mancata presentazione da parte del mio avvocato di un documento), tramite il suo legale si chiamò fuori mentre io ricevetti un atto di precetto per il totale indicato, per il quale sono stata costretta alla mia età ad accendere una ipoteca ventennale per evitare il pignoramento di casa mia. Mi domando come sia possibile in un paese civile un fatto del genere».
E non è tutto. L’assicurazione, che non ha risarcito l’artiere, ha comunque preteso il pagamento della polizza fino alla scadenza del 2003, dunque anche dopo la morte del cavallo avvenuta due anni dopo l’incidente del ‘98 . Casomai il cavallo tornasse in vita… Aggiungiamo pure che in primo grado il giudice aveva dato torto all’artiere considerando una sua imperizia entrare in un campo in cui a dettare le regole è l’istruttore federale. In secondo grado il giudice ha rigettato la richiesta di manleva per un cavillo, poco più di un vizio di forma. Forse se ne riparlerà in Cassazione, cioè tra una decina d’anni. La signora nel frattempo ha ipotecato la casa al mare. «Finiremo di pagare il mutuo quando avrò 82 anni, 800 euro al mese in meno sulla pensione», si è già fatto i conti il marito Enrico. E la Sara? In attesa di una nuova relazione la compagnia fa sapere che «Già. Dieci anni non sono bastati».
Il messaggero.it

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