Il cavallo in Italia tra Roma, Medioevo e Rinascimento

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Dall’Impero ai Feudi: la lunga corsa del cavallo nella storia d’Italia

Dopo l’affermazione delle civiltà etrusche e italiche, fu Roma a cambiare per sempre il corso della storia italiana… e anche quello del cavallo. Leggi il primo articolo “Alle origini del cavallo italiano: tra preistoria e civiltà antiche” e poi approfondisci il viaggio nella storia del cavallo in Italia in questo articolo.

L’Impero e l’inizio della grande logistica equestre

A dispetto dell’immaginario epico, i Romani non furono originariamente un popolo di cavalieri. Erano agricoltori, costruttori, organizzatori. Eppure, compresero ben presto l’importanza del cavallo in ambito militare e civile.

Non furono grandi allevatori, ma eccellenti organizzatori: importarono e incrociarono cavalli dai popoli sottomessi — dalla Spagna, dalla Gallia, dalla Cappadocia — migliorando il patrimonio genetico locale. Fondarono stud-book ante litteram e istituirono allevamenti statali per scopi militari. Il cavallo divenne una risorsa strategica, non solo per la guerra, ma anche per trasporti, messaggeri, sport e parate.

Particolarmente pregiati erano i cavalli siciliani, citati dallo stesso Vegezio per la loro resistenza e attitudine alla sella. Nella Campania, le puledre venivano riservate ai trionfi consolari sul Campidoglio. Il cavallo era entrato, finalmente, nella cultura romana.

Invasioni e nuovi incroci

Con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476 d.C.), l’Italia entrò in un’epoca turbolenta. Le invasioni barbariche, però, non furono soltanto distruzione: furono anche rimescolamento genetico e culturale. Ostrogoti e Longobardi portarono nuove razze, in particolare cavalli pannonici, robusti e resistenti.

Longobardi, in particolare, si distinsero per la protezione e l’incentivazione dell’allevamento equino, istituendo leggi per tutelare la riproduzione e l’alimentazione degli animali. Il suolo italiano, fertile e variegato, contribuì a far prosperare nuovamente l’ippicoltura.

Il Feudalesimo e l’equitazione nobiliare

Con l’avvento dei Franchi e la nascita dei feudi (VIII secolo), il cavallo tornò ad essere protagonista. Cavalieri, castelli, tornei: l’immaginario medievale europeo ruota attorno alla figura dell’uomo a cavallo. L’Italia non fece eccezione.

Le grandi abbazie, i signori feudali e le famiglie nobili si fecero promotori di razze pregiate e cavalli da guerra, da caccia o da parata. La domanda crebbe, la qualità migliorò. Il Sud Italia, intanto, veniva influenzato dalle culture arabe. Le invasioni saracene portarono sangue nuovo, in particolare arabo-andaluso, che si fuse con le razze autoctone napoletane, pugliesi e siciliane.

Il risultato? Cavalli veloci, eleganti e vigorosi, amati in tutta Europa. I corsieri napoletani, i destrieri pugliesi, i ronzini beneventani: ogni regione vantava il proprio orgoglio equestre.

Il Rinascimento: apice della nobiltà equestre

Dal XIV al XVII secolo, l’allevamento del cavallo italiano raggiunse un nuovo apice. Il Rinascimento portò con sé un’evoluzione non solo artistica, ma anche agricola, militare e sociale. L’equitazione divenne arte. I cavalli non erano più solo strumenti di guerra, ma simboli di potere, status e raffinatezza.

Repubbliche, signorie e casati nobiliari gareggiavano nel possedere i cavalli più belli, forti ed eleganti. Nasceva l’equitazione accademica e si diffondevano le prime scuole ufficiali, come quella fondata da Federico Grisone a Napolinel XVI secolo. In questo periodo, il cavallo napoletano diventa una vera leggenda: richiesto in tutta Europa, veniva considerato al pari del purosangue arabo e dello stallone andaluso.

Dalla Lombardia al Polesine, dalla Calabria alla Sardegna, ogni regione sviluppava e selezionava i propri esemplari. Il commercio equino diventava parte dell’economia, e i cavalli italiani contribuivano persino alla creazione di razze estere, come i Lipizzani e i Kladruby.

Verso una crisi annunciata

Ma, come spesso accade nella storia, al culmine del successo segue il declino. Le guerre, le rivoluzioni, le trasformazioni economiche e sociali iniziarono a minare la solidità dell’allevamento italiano. La polvere da sparo rese i cavalli da guerra meno centrali. Le cavallerie, una volta cuore degli eserciti, iniziarono a perdere importanza.

Con la caduta delle monarchie e il frazionamento della penisola in staterelli, si avviò una lenta ma inesorabile crisi.

Nel prossimo articolo vedremo come, tra l’Unità d’Italia e i giorni nostri, il cavallo italiano abbia affrontato sfide immense, cadute dolorose… ma anche tentativi di rinascita. Un patrimonio da riscoprire, proteggere e valorizzare.

👉 Scopri come si è evoluta l’ippicoltura italiana nel terzo e ultimo capitolo: “Declino e rinascita del cavallo italiano: dall’Unità d’Italia a oggi”

© Riproduzione riservata.

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