Uliano Vezzani – uno “chef” italiano che ha fatto dei cavalli e dei concorsi di salto a ostacoli la sua passione

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Lei è tra gli chef de piste più accreditati a livello internazionale: come si arriva a questo punto, come ha cominciato?
Il mio inizio come direttore di campo è stato negli impianti de “Le Siepi” di Cervia.
Ho cominciato per caso in un concorso ippico a Jesi nelle Marche, per l’indisponibilità del direttore di campo, allora la figura di riferimento era l’ispettore. Avevano bisogno di qualcuno che lo sostituisse altrimenti dovevano sospendere la manifestazione. C’era da costruire un percorso e l’ho fatto e in quell’occasione ho anche vinto il GP come cavaliere!
In seguito il Presidente del Comitato Regionale Fise Emilia Romagna, Alfieri, mi mandò a seguire un corso a Roma, allora era uscita una circolare per creare un albo dei direttori di campo come figura vera e propria. Da lì ho affiancato Marcello Mastronardi, erano gli anni ’84/’85.
L’ho affiancato per un po’di anni anche a Piazza di Siena, lì ho avuto modo di conoscere altri personaggi del settore come Paul Weier, che ho seguito in Svizzera facendo tesoro delle indicazioni di un’altra scuola, diversa, imparando molto.
Qual è stato il suo approccio al mondo dell’equitazione?
Dopo Paul Weier ho conosciuto Philippe Gayot, che è stato il primo direttore di campo che ha sentito la necessità di cambiare i canoni tradizionali. Ha iniziato ad alleggerire gli ostacoli e a tracciare percorsi più tecnici. Ora i francesi dicono che gli assomiglio molto.
Un gran maestro per me è stato anche Haucke Schmidt.
Ai tempi sentivo le osservazioni mosse a Mastronardi, si diceva che usciva poco dall’Italia. Allora ho colto questo appunto, che per me è stato uno sprone per andare all’estero, e portavo in Italia le mie esperienze acquisite secondo i metodi dei direttori di campo stranieri che andavano per la maggiore. Con l’esperienza si diventa più saggi e oggi sono molto contento perché costruisco tanto all’estero. Oggi molti percorsi all’estero “parlano” italiano, sono felice di questo e mi sento un po’ ambasciatore del nostro made in Italy.
Qual è la differenza principale tra la costruzione di un percorso indoor e uno outdoor?
Sono due realtà diverse con caratteristiche differenti. Nei percorsi outdoor posso sfruttare gli spazi più ampi a disposizione, nei campi indoor ci sono le quattro pareti che delimitano il tutto e che rendono, nello spazio più ristretto, la gara più spettacolare perché il pubblico è tutto lì, ce l’hai “sul collo”. L’emozione quindi è forte, la vivi molto.
Nei campi outdoor, nelle grandi arene i cavalli sono in un ambiente più naturale, il pubblico è più distante ma non meno partecipe.
Un’altra differenza importante sono i campi in sabbia o in erba. Personalmente amo i campi in erba, sono un “romantico”, perché il cavallo è nel suo habitat.
Sicuramente i costi di gestione per i comitati organizzatori sono diversi a seconda delle due superfici. La manutenzione del campo in erba è più complicata, per il direttore di campo è indifferente. Il vantaggio della sabbia è che dal giorno dopo che l’hai stesa è utilizzabile.
Nei campi indoor dotati di sabbie silicee moderne i cavalli saltano molto bene perché i terreni sono elastici, possono galoppare e girare stretto, in quanto questi terreni garantiscono un buon “grip”, una grande elasticità e il massimo confort.
I cavalieri la apprezzano molto: com’è il suo approccio con loro e cosa crede la caratterizza maggiormente?
Il mio vantaggio è il carattere. Io chiedo, cerco l’incontro con i cavalieri e lo scambio, prima di affrontare la gara in quanto i cavalieri sono obiettivi, mentre dopo sono influenzati dal risultato del percorso.
Ho anche un team di collaboratori davvero valido, sono rispettati dai cavalieri: Pier Francesco Bazzocchi, Elio Travagliati e Paolo Rossato. Ad esempio Filippo Moyersoen sottolinea che la passione che questi ragazzi mettono nel costruire i percorsi, li distingue da molti altri.
Con i cavalieri l’ho messa su un piano di lealtà: io costruisco il percorso per loro, per preservare i cavalli e fargli migliorare la tecnica. Cerco di far sì che il cavallo nell’esecuzione del percorso segua dei movimenti naturali e distribuisco in modo equo su tutto il tracciato le difficoltà, in modo da non avere un insieme di difficoltà nello stesso punto.
Qual è la chiave nella costruzione di un buon percorso e come definisce appunto un “buon” percorso?
Un buon percorso è quello che rispetta il cavallo. Uno dei più grandi complimenti è stato quello di Jean Maurice Bonneau, chef d’equipe della squadra francese, al termine di una gara: “con il tuo percorso oggi i cavalli si sono divertiti”, oppure Kevin Staut in una dichiarazione alla stampa: “se tutte le Coppe delle Nazioni fossero costruite da Uliano Vezzani, se ne potrebbe fare una tutte le settimane”. Il cavallo deve uscire sereno dal percorso e deve avere la voglia di saltare ancora. Cerco di non mettere combinazioni forti, rispetto il cavallo. Inoltre sto molto attento ai dettagli, le “piccolezze”, non creo mai più di una difficoltà nello stesso ostacolo, non esaspero ad esempio le distanze in una combinazione.
Il direttore di campo deve sempre prestare attenzione al concorso fin dal primo giorno, vedere qual è lo stato di forma di cavallo e cavaliere. non bisogna mettere in difficoltà il cavallo fin dal primo giorno di gara. Per esempio con i giovani cavalli è importante mettere le combinazioni verso “casa”. Bisogna usare una giusta progressione nelle varie giornate di gara.
Qual è il tracciato che ricorda con maggior piacere e perché.
Ce ne sono tanti. Molte volte ciò che ti fa rimanere soddisfatto è quando i cavalli saltano volentieri, bene, e gli attori interpretano il tracciato come tu ti sei immaginato. Questo dà sicuramente un risalto particolare.
Il primo percorso di Piazza di Siena dopo 30 anni di egemonia di Mastronardi è quello che ricordo con più emozione.
Qual è il fascino di questo mestiere?
L’imprevedibilità. La soddisfazione che ti dà vedere il tuo percorso “saltato” con piacere, con naturalezza, quando il cavallo lo salta volentieri. Questa soddisfazione te la danno immediatamente soprattutto i giovani cavalli ma se sbagli qualcosa con la stessa facilità lo evidenziano subito.
Cosa consiglia a chi volesse intraprendere questo “percorso”?
Ci vuole umiltà, bisogna mettersi sempre in dubbio, non voler strafare. E poi guardare con attenzione quello che fanno gli altri, andare all’estero a toccare con mano realtà diverse, perché ogni paese ha le sue caratteristiche e una cultura equestre differente.
Noi dobbiamo essere in grado di costruire i percorsi anche per i paesi nuovi, che si affacciano a questo sport.
Il commento che l’ha colpita di più da parte di un cavaliere in un percorso da lei tracciato?
Quando un cavaliere esprime soddisfazione, gradimento, dopo aver saltato un percorso.
Il commento di Kevin Staut che ho citato prima, è stato spontaneo e per me inaspettato. Oppure il commento di Gerco Schroder l’anno scorso a Cannes che ha sottolineato la valenza del percorso e ha annunciato che poi avrebbe montato London alle Olimpiadi.
Quanto tempo è necessario per la costruzione di un percorso e quali strumenti utilizza?
Il cervello è lo strumento principale. Devi valutare parecchie cose: il periodo in cui si svolge la gara, la stagione, a cosa serve la prova che il cavaliere affronta, se è in preparazione di un’altra gara o se è una finale, devi tener presente qual è l’obiettivo principale in quel momento. Ogni categoria ha un suo scopo e un’importanza.
Mi piace partecipare alle stesure dei programmi, tenere in considerazione le caratteristiche del cavallo e del cavaliere, senza nulla togliere all’esigenza del comitato organizzatore.
Bisogna tener presente la qualità dei partecipanti, la qualità del campo gara, il parco ostacoli, la tipologia di gara del concorso. Ad esempio la finale della World Cup o di un campionato dura tre giorni, non è una gara singola, per cui bisogna preparare i finalisti per l’ultimo giorno.
Ti devi calare nella parte dell’attore cavallo e cavaliere. Il tracciato va disposto in modo che l’ostacolo arrivi a te e non che il cavaliere debba andarlo a cercare. Può arrivare incontro al cavaliere in vari modi, e lì sta la differenza del direttore di campo. A me piace porre delle difficoltà ma non estreme.
C’è qualcosa che caratterizza gli chef de piste italiani nella costruzione di un percorso?
Gli chef de piste italiani hanno fantasia, creatività, hanno un modo latino di costruire il percorso che è diverso rispetto agli altri modi anglosassoni. Abbiamo una mentalità diversa: amiamo la naturalezza e l’armonia nell’esecuzione.
Una delle soddisfazioni più grandi?
Tutte le domeniche quando un concorso finisce bene, quando sei contento del tuo lavoro. E comunque una delle più grandi è stata il mio primo appuntamento con Piazza di Siena, dopo una lunga egemonia di Mastronardi.
Obiettivi futuri?
Continuare con lo stesso entusiasmo, continuare ad avere il rispetto dei cavalieri per il lavoro svolto, per quello che gli propongo, la riconoscenza che molte volte ti danno per lo sforzo profuso. Proseguire nel costruire percorsi per i cavalli, e di conseguenza per i cavalieri, cercando sempre di migliorarmi e di far progredire anche loro.
Che tipo di problemi si affrontano come chef de piste in una finale di Coppa del Mondo come la recente in Svezia?
Una finale di Coppa del Mondo o di un Campionato è molto impegnativa, ti prende molto. Problemi particolari non ne esistono però si tratta di una gara spalmata su tre giorni, dove si determina il vincitore, il migliore, dei tre giorni, quindi devi usare una progressione con tre gare di tipologia diversa. Una progressione a seconda della gara che stai effettuando, in modo da arrivare in finale con i cavalli ancora freschi.
Vanno valutate bene le gare delle varie giornate. È più impegnativo costruire un tracciato di questo tipo, rispetto a un percorso “normale”, devi seguire i cavalieri durante tutte le prove, così da capire come costruire la finale.
Inoltre la figura oggi del direttore di campo è molto cambiata rispetto a un tempo. Oggi non hai solo l’aspetto tecnico ma devi tener conto anche delle diverse esigenze che sono aumentate. Da non trascurare sono i comitati organizzatori, bisogna partecipare con loro alla stesura dei programmi. Gli sponsor, bisogna avere una certa coreografia e collocare gli ostacoli per una corretta visibilità degli sponsor, che sono importanti perché ci consentono di realizzare queste competizioni. Infine, in quest’ottica, vanno tenute presente anche le esigenze dei media, hanno anche loro un peso.
Intervista a cura di: Matilde Pozzi

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